"Ciò che lascerà perplessi gli storici del futuro è come una logica fallace, oscurata da una propaganda astuta e implacabile, abbia permesso a una coalizione di potenti interessi speciali a convincere il mondo intero che la CO₂ prodotta dall'industria fosse una pericolosa tossina che stava distruggendo il pianeta. Verrà ricordata come la più grande delusione di massa della storia, che la CO₂, fonte di vita di ogni pianta terrestre, venne considerata all'epoca un veleno letale." - Richard Lindzen (Fisico dell'atmosfera del M.I.T.)
“L’obiettivo primario della politica è mantenere la popolazione allarmata — e quindi acclamante di essere tratta in salvo — minacciandola con una serie interminabile di spauracchi, tutti immaginari.” - H. L. Mencken (giornalista)
Scemata l’emergenza Covid torna a crescere quella del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. Un’efficace narrazione di imminente catastrofe climatica sta spingendo governi in tutto il mondo ad imporre misure di presunta mitigazione molto costose e socialmente invasive. E’ utile capire se questo sconvolgimento sia davvero necessario e quanto siano fondate le basi sulle quali poggia.
A premessa va evidenziato che i termini “riscaldamento globale” e “cambiamento climatico” nell’uso comune si riferiscono a un unico fenomeno di natura politica. Nello specifico, si riferiscono a una narrazione climatica basata sull’uso di modelli matematici per sostenere la tesi di un pericoloso surriscaldamento della Terra causato dall’attività umana, ipotizzando in modo disinvolto conseguenti catastrofi ambientali evitabili solo se modifichiamo drasticamente i nostri stili di vite e il modo di produrre ed utilizzare l’energia.
Questa teoria climatica catastrofista non è una novità. E’ da quasi mezzo secolo che — insieme alle sue numerose previsioni nefaste — viene promulgata in varie salse, e alla prova dei fatti risulta chiaramente errata. Il metodo scientifico si basa sul semplice principio che una teoria è sbagliata se non conforme ai risultati dell’esperimento, e in tutti questi decenni nessuna delle previsioni catastrofiche si è avverata. Il fatto che persista ancora oggi una teoria così scarsamente supportata dall’evidenza indica che la sua utilità è prettamente politica. E’ verosimilmente una narrazione ingannevole — con qualche elemento di verità — ideata da coalizioni con interessi politici ed economici di parte come copertura della loro surrettizia appropriazione indebita delle centinaia di miliardi di euro del mercato energetico mondiale.
Nonostante sia una teoria fuorviante, per non buttare il bambino con l’acqua sporca vale la pena approfondire i meccanismi climatici ed energetici che chiama in causa. Capire cioè se l’anidride carbonica svolga davvero funzione di termostato del pianeta, se l'attività umana sia la principale forzante del clima terrestre, e, infine, se il riscaldamento planetario sia di pericolosità tale da richiedere realisticamente drastiche misure di mitigazione e una transizione massiccia all’energia rinnovabile.
Un senso di prospettiva
Mentre pare ragionevole ipotizzare che l’attività industriale ed agricola umana incida sull’aumento della temperatura terrestre — il cosiddetto riscaldamento globale antropogenico — è davvero plausibile che ne sia una delle principali forzanti? A tal proposito è utile stabilire un senso di scala.
Questa è la Via Lattea, la nostra galassia. E’ un immenso e caotico calderone di energia, radiazioni, forze gravitazionali, stelle e pianeti. Uno di quei minuscoli puntini nascosti nella spirale nebulosa verso il centro della galassia è il Sole.
Questo è il nostro Sistema Solare, con in evidenza dimensioni e distanze relative tra i vari pianeti e il Sole. Il terzo puntino quasi invisibile alla destra del Sole siamo noi, la Terra.
In questa immagine, in blu, si vede il campo magnetico terrestre che protegge la Terra dai venti solari. In sua assenza il pianeta sarebbe geologicamente morto come Marte. Si bollirebbe di giorno, si congelerebbe in notte e sia oceani che atmosfera verrebbero spazzati via.
Infine, questo è uno spaccato della Terra. Il nucleo incandescente — composto da una parte solida e una liquida tenuta in costante movimento dal fenomeno di convezione e dalla rotazione del pianeta — produce il campo magnetico terrestre, il nostro scudo protettivo. Lo strato sottilissimo all’esterno del pianeta, spesso molto meno di un decimo di percento del diametro totale del globo, è la biosfera. Composta da atmosfera, oceani e continenti, è l’evanescente palcoscenico sul quale si sviluppa il fenomeno del clima.
In questa visuale più ampia la Terra è chiaramente soggetta a forze e flussi di energia infinitamente superiori a quanto sia nella disponibilità dell’uomo mobilitare. Variazioni di inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta o della sua traiettoria orbitale — influenzate dalle complesse interazioni di forze gravitazionali prodotte da tutte le masse nella galassia — oltre a modificare l’intensità dell’irradiazione solare che colpisce la Terra variano anche il moto fluido del nucleo, perturbando continuamente il campo magnetico terrestre e la protezione che ci fornisce dal calore del Sole. Violente eruzioni solari, tutt’alto che rare e di portata imprevedibile, possono aumentare notevolmente l’irradiazione della Terra. Senza dimenticare l’influenza dell’energico ribollire interno del pianeta. Produce un’attività vulcanica che inietta quantità ingenti di calore e particolato nel atmosfera — fenomeno che in passato ha causato l’oscuramento per anni del Sole, iniziando un’era glaciale — e movimenti tettonici della crosta terrestre capaci di modificare la circolazione d’acqua negli oceani con conseguenti alterazioni del clima. Tenendo conto di questo quadro d’insieme allargato pare poco realistica e frutto di hubris l’idea che sia proprio l’attività umana la principale forza regolatrice della temperatura e del clima terrestre.
L’anidride carbonica
La narrazione climatica catastrofista addita l’anidride carbonica (CO₂) come il “cattivo” della storia. Viene dato per certo che l’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera porti — per via dell’effetto serra — a un proporzionale innalzamento della temperatura terrestre, e che le due variabili, temperatura e concentrazione di CO₂, siano fortemente legate. Questa ipotesi è l’architrave delle politiche energetiche sviluppate da enti sovranazionali per contenere le emissioni globali di anidride carbonica e che si stanno imponendo, in modo sempre più autoritario e costoso, in molti paesi del mondo.
E’ però un’ipotesi che poggia su basi scientifiche fragili. Anzitutto non è vero che la temperatura terrestre e la concentrazione atmosferica di CO₂ siano perfettamente legate. In precedenti ere geologiche ci sono stati periodi freddi con livelli elevati di CO₂, e, viceversa, periodi caldi con concentrazioni basse. L’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera ha senz’altro un effetto sul clima, ma al momento non è possibile saperne la misura ne quanto pesi la componente antropogenica rispetto a quella naturale. Non si può inoltre districare il contributo dell’anidride carbonica da quello dalle altre forzanti naturali del clima, e non siamo quindi in grado di affermare con certezza che una diminuzione della nostra produzione di CO₂ porterebbe a una riduzione della temperatura terrestre. Infine, l’anidride carbonica è solo uno dei tre principali gas serra e neanche quello più rilevante, contribuendo per il 25% del totale rispetto al 60% del vapore acqueo — che non viene preso in considerazione dalle narrazioni climatiche — è il 15% circa del metano (altro gas serra demonizzato).
Anche ipotizzando che sia l’anidride carbonica prodotta dal uomo a causare il riscaldamento globale, oltre mezzo secolo di accordi mondiali per cercare di ridurne la concentrazione nell’atmosfera non hanno sortito alcun effetto. Risultati passati — o mancanza di tali — non sono necessariamente indicativi di quelli conseguibili in futuro, ma cinquant’anni di fallimenti continui indicano che, a meno di improbabili miracoli, c’è ben poco che possiamo fare per controllare la concentrazione di anidride carbonica.
Fonte: National Oceanic and Atmospheric Administration
In ultima analisi il fatto più rilevante è che la biosfera è un sistema di vita basata sul carbonio. L’anidride carbonica è indispensabile per il processo di fotosintesi che rende possibile ogni forma di vita vegetale o animale terrestre. La biosfera si adatta in modo dinamico alle perturbazioni che avvengono al suo interno, un meccanismo di stabilizzazione che la mantiene vitale da miliardi di anni. Negli ultimi decenni, ad esempio, l’aumento del livello di anidride carbonica ha prodotto un simultaneo rinverdimento del 10% del pianeta, portando anche a un miglioramento delle rese agricole. Ha davvero senso sostenere che sia proprio la CO₂ l’agente di distruzione del pianeta, e che la Terra non sia in grado di mantenere in modo autonomo l’integrità della sua biosfera?
Un esperimento importante
Vale la pena evidenziare che c’è stato modo di eseguire un esperimento per quantificare l’impatto reale dell’attività umana sull’aumento della concentrazione atmosferica di anidride carbonica. Nel 2020 il mondo si è fermato per la pandemia SARS-Cov-2 portando a una fortissima riduzione delle attività umane che producono CO₂, tutto dalla soppressione degli spostamenti con ogni modalità di trasporto alla riduzione ai minimi termini dell’attività industriale e lavorativa in generale. Ebbene, l’effetto sortito è stato quello di abbassare la produzione di anidride carbonica solo del 5% circa.
Foss’anche corretta l’ipotesi che l’aumento di CO₂ stia portando un riscaldamento del pianeta, l’attività umana contribuisce al fenomeno per circa l’1% (il 25% del 5%), un valore sostanzialmente al di sotto dell’errore statistico di misurazione. La riduzione dell’attività umana è diminuita drasticamente solo per qualche mese del 2020 ed è verosimile che se si fosse esteso per tutto l’anno l’impatto sarebbe stato un più ampio 2-3%, ma si tratta sempre di una percentuale trascurabile. La diminuzione totale per quell’anno può inoltre realisticamente considerasi un’ottimistica approssimazione della riduzione di CO₂ conseguibili con la transizione verde, e quindi, in definitiva, non solo è assai limitato il nostro contributo al all’aumento di anidride carbonica atmosferica in generale ma inciderebbero molto poco le misure drastiche ipotizzate per arginarlo.
La transizione verde improbabile
E’ difficile sopravalutare la difficoltà di una transizione all’energia rinnovabile forzata e su larga scala allo stato attuale della tecnica. La produzione di calore per l’industria e il riscaldamento residenziale urbano non ha reali alternative all’uso di gas naturale, e l’irregolarità della produzione di energia da fonti rinnovabili le rende incapaci di garantire una fornitura di elettricità stabile ed affidabile. Non si vedono ancora all’orizzonte le soluzioni tecniche che permettano l’accumulo a basso costo e su larga scala dell’energia prodotta da pannelli solari e pale eoliche, e quindi non possono fornire il carico di base che va garantito a una rete elettrica nazionale indipendentemente dal fatto che ci sia o meno vento e cielo sereno. La transizione verde richiede inoltre l’estrazione di quantità ingenti di terre rare le cui filiere produttive sono energivore, altamente inquinanti, a elevato impatto ambientale e spesso associate a palesi violazioni di diritti umani. Il cobalto, ad esempio, elemento presente in quasi tutte le batterie, proviene per l’80% dal Congo dove viene estratto in pericolose miniere nelle quali lavorano in condizioni di schiavitù anche molti bambini.
Nella foga di liberarci dei combustibili fossili è facile perdere di vista il fatto che l’energia elettrica, quella più facile da produrre con fonti rinnovabili, rappresenta solo il 40% circa del consumo totale di energia primaria. E’ da quasi un secolo che il consumo di energia primaria cresce inesorabilmente, e le rinnovabili coprono solo una percentuale minima del fabbisogno totale nonostante da anni vengono spinte in modo aggressivo attraverso investimenti ingenti e forti incentivi statali.
Fonte grafico: Our World in Data
Infine, ci sono ampi settori della civiltà industriale che semplicemente non funzionano senza l’elevata densità energetica dei combustibili fossili. Aerei, navi, macchinari da miniera e camion — i motori del mondo industrializzato —non sono elettrificabili nel breve-medio termine e forse mai lo saranno. Senza dimenticare che la nostra è una civiltà costruita con l’acciaio, il cemento, la plastica e l’ammoniaca (il più importante prodotto chimico industriale), tutte materie prime al momento impossibili da produrre senza combustibili fossili. L’idea che si possa tenere in piedi una società industriale avanzata usando solo o principalmente energia rinnovabile è illogica e svincolata dalla realtà.
Discriminazione energetica
La prosperità di una nazione dipende dal suo accesso ad energia a basso costo e alta densità calorifica. L’economia, il motore della prosperità, è un sistema che non può funzionare senza energia, e quando viene ridotta o diventa troppo cara seguono miseria e declino.
L’uso massiccio delle rinnovabili ha portato, nella maggioranza dei paesi che le hanno spinte in modo aggressivo, a significativi aumenti dei costi dell’energia. L’allargamento delle politiche verdi impatta in modo sproporzionato le classi meno abbiente, le quali faticano a far fronte ai rincari dei beni e servizi necessari alla vita quotidiana che dipendono tutti dal costo dell’energia. Senza dimenticare le altre spese straordinarie — come ad esempio la sostituzione di auto inquinanti o il miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni — imposte dalle politiche stesse. Nell’insieme creano difficoltà economiche oltre a risentimento popolare, visto che vengono percepite come coercitive e ingiuste in quanto marginalizzano socialmente chi fatica a sostenerne le spese.
La transizione verde solleva anche un problema di giustizia sociale a livello globale. Sono infatti i paesi in via di sviluppo quelli che hanno più bisogno di accedere all’energia abbondante e a basso costo dei combustibili fossili per crescere le loro economie e permettere ai propri cittadini di accedere a un dignitoso livello di benessere. E’ immorale e inconcepibile negare a miliardi di persone la possibilità di una vita migliore col pretesto di un’emergenza climatica fittizia, sopratutto quando tutto il mondo occidentale ha già beneficiato per oltre un secolo dall’accesso a energia a basso costo migliorando enormemente la propria qualità di vita.
Conclusioni
L’isteria climatica è scarsamente giustificata su basi scientifiche e pare piuttosto un fenomeno politico che nasconde brame di potere, di controllo sociale e di guadagno economico da parte di pochi attori uniti e ben organizzati. Non ci troviamo in un’emergenza climatica tale da rendere necessari immediati e drastici cambiamenti nel modo in cui usiamo e produciamo energia. Siamo probabilmente in un periodo storico di riscaldamento che può destare anche qualche lecita preoccupazione, ma non è detto che la temperatura continui a salire — la biosfera ha sofisticati meccanismi di stabilizzazione che comprendiamo solo grossolanamente — e comunque l’aumento avviene in modo molto graduale lasciando tutto il tempo a noi e agli altri esseri viventi di adattarci. Nell’insieme un pianeta più caldo di qualche grado nel prossimo secolo è preferibile per la vita terrestre rispetto a uno più freddo, ma comunque vada non dipende da noi — ne possiamo controllare — come e di quanto varierà la temperatura terrestre futura.
Per affrontare l’incertezza la via da seguire è quella di accelerare lo sviluppo di nuove fonti di energia pulita — la strada più promettente al momento sembra essere quella dei reattori nucleari modulari di ultima generazione — e puntare sulle strategie di adattamento, con politiche energetiche ed ambientali che giochino in nostro favore qualsiasi sia l’evoluzione del clima. Politiche che aumentano le nostre opzioni anziché restringerle. Indipendentemente dal fatto che il pianta sia più caldo o freddo, ad esempio, è comunque un bene muoversi nella direzione di ridurre il consumo di energia primaria e dei combustibili fossili, integrando in modo razionale e cauto l’energia rinnovabile man a mano che le soluzioni tecniche maturano e le analisi costi-benefici delle filiere verdi diventano favorevoli sull’intero arco della loro vita. Lo stesso vale per risolvere problemi a portata di mano come ridurre l’inquinamento atmosferico e ambientale (solo in parte dovuta ai combustibili fossili), rigenerare i terreni agricoli per migliorarne le rese, tagliare gli enormi sprechi in ogni ambito della vita moderna, ottimizzare filiere produttive troppo complesse e rivalutare stili di vita energivori e dispendiosi. Abbiamo tutto il tempo per fare questa transizione con interventi creativi, ponderati, localizzati e graduali, senza forzature costose e socialmente destabilizzanti.
Alla fine, per ottimizzare la gestione mondiale delle filiere energetiche possiamo ispirarci ai principi che governano uno sistema di simile complessità perfettamente funzionante da centinaia di milioni d’anni. La Natura gestisce su scala planetaria un ecosistema con enormi flussi d’energia e fenomenale complessità sociale. Non segue impacciati modelli imposti dall’alto, non spreca nulla, non si serve di tentacolari organizzazioni per dirigere i lavori e non c’è nessuno che gioca a fare Dio arrogandosi il diritto di decidere per tutti. Procede in modo diligente con piccoli passi misurati, aggiustando subito il tiro attraverso fitti cicli di reatroazione. Sfrutta al meglio la competizione e cooperazione tra organismi interni a un’infinità di nicchie distinte ma opportunamente permeabili e in continua co-evoluzione. Sperimenta in modo misurato e senza sosta, sempre saldamente ancorata alla realtà nella valutazione degli esiti. Il risultato è un insieme bilanciato di straordinaria varietà e resilienza che prospera e accresce la propria ricchezza col passare del tempo. E’ questo il sistema da usare come modello, e siamo ancora in tempo per farlo.
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1) @curryja
4) @AlexEpstein
6) @PeterDClack
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